sabato 29 gennaio 2011

Polveriera Africa:Marocco, Tunisia, Egitto, l’unico dato certo è la sconfitta della democrazia in Costa d’Avorio


Le manifestazioni di protesta in Algeria prima e in Tunisia poi ed adesso in Egitto hanno quasi eclissato lo scontro politico in corso in Costa d’Avorio dove due candidati alla presidenza – il capo di stato uscente Laurent Gbagbo e il candidato dell’opposizione Alassane Ouattara – sostengono entrambi di aver vinto il ballottaggio del 28 novembre. Eppure, almeno finora, quella ivoriana resta di gran lunga la crisi più grave, almeno se si guarda alle conseguenze sulla popolazione. Lo dicono i numeri: in Algeria i morti durante gli scontri con le forze di sicurezza sono stati come, in Tunisia ed Egitto qualche decina, in Costa d’Avorio sono centinaia.

Inoltre in Costa d’Avorio è iniziato l’esodo dalla capitale Abidjan e da altre zone a rischio. Gli ivoriani fuggono temendo il peggio: a una media di 600 al giorno, cercano scampo nella vicina Liberia dove si stima che vi siano già 25.000 profughi. Infine i danni sono enormi tenuto conto che l’economia già sconta gli effetti di otto anni di instabilità e tensioni, iniziate con il fallito colpo di stato contro il presidente Gbagbo organizzato nel settembre del 2002, in seguito al quale il paese è stato diviso in due: il nord in mano alle forze antigovernative, raccolte sotto la sigla Forze Nuove, il resto del territorio controllato dall’esercito fedele a Gbagbo e una missione ONU, la Onuci 9000 uomini, a fare da cuscinetto lungo la linea di confine, appoggiata dai 5000 francesi della brigata LICORNE.

30 anni fa il prodotto interno lordo pro capite ivoriano era di 2.864 dollari, oggi non arriva a 1.700. Il paese del miracolo economico, portato a esempio all’epoca del primo presidente Felix Houphouet-Boigny, oggi è al 149° posto dell’Indice dello Sviluppo Umano dell’Undp, il tasso di mortalità materna è uno dei più alti del mondo, 470 decessi su 100.000 nati vivi, e 114 bambini su mille non raggiungono i cinque anni.
Siccome Nazioni Unite, Unione Europea, CEDEAO (l’organismo regionale di cui la Costa d’Avorio fa parte), Stati Uniti e Francia si sono schierati dalla parte di Ouattara, che nel frattempo ha nominato primo ministro Guillaume Soro (ex capo delle Forze Nuove che tentarono il golpe nel 2002), la maggior parte delle analisi spiegano che l’unico ostacolo alla soluzione della crisi è l’attaccamento al potere di Gbagbo che rifiuta di cedere il comando all’avversario, indifferente al fatto che così facendo si rende responsabile di far degenerare lo scontro politico in un conflitto civile cruento come è successo in Kenya e in Zimbabwe dopo le elezioni del 2007 e 2008 o, peggio ancora, come accadde in Rwanda dove gli Hutu nel 1994 tentarono il genocidio dell’etnia rivale, i Tutsi.
La prima considerazione necessaria è quindi che in realtà nessuno può dire con certezza chi ha vinto il ballottaggio del 28 novembre: accreditare Ouattara o Gbagbo è una scelta, non il risultato di un riscontro dei fatti. La Commissione elettorale ivoriana ha proclamato vincitore Ouattara con il 54,1% dei voti. Ma lo ha fatto al posto di quanto stabilito dalla costituzione la quale prevede che l’incarico di nominare il capo di stato sia del Consiglio costituzionale. Quest’ultimo il 4 dicembre ha ribaltato il risultato comunicato dalla Commissione elettorale attribuendo a Gabgbo il 51% delle preferenze.
Tutti dicono che il Consiglio costituzionale si è espresso in questo modo perché è in mano a Gbagbo dal momento che la maggior parte dei suoi membri sono stati da lui nominati. Ma è altresi vero che la Commissione elettorale è invece composta da membri per lo più vicini a Ouattara e sotto l’egida dell’ONU (Francia) È verosimile inoltre che nel nord Forze Nuove abbia fatto il possibile per manipolare i risultati a favore di Ouattara, il che spiegherebbe la decisione del Consiglio costituzionale di annullare il voto in nove dipartimenti. D’altra parte sembra del tutto probabile che nel resto del paese Gbagbo abbia fatto altrettanto.
In sostanza, andare la voto era prematuro e le pressioni internazionali per lo svolgimento delle elezioni non hanno reso un buon servizio al paese né alla causa democratica.
Adesso sostenere Ouattara, o comunque un candidato rispetto a un altro, peggiora  ulteriormente le prospettive. Che lo faccia la Francia, di cui la Costa d’Avorio fu colonia, non stupisce. Già in passato Parigi si è mossa a scapito del presidente Gabgbo. Dopo il colpo di stato, presenziando ai negoziati per la formazione di un governo di unità nazionale, tentò di far assegnare alle Forze Nuove il ministero della difesa e quello degli interni. Equivaleva a consegnare ai ribelli il comando delle forze di sicurezza e dell’esercito,
cosa che ovviamente Gbagbo non poté accettare. Poi, nel 2004, la missione Licorne, il contingente militare francese di 5000 uomini di cui 1800 tuttora presenti in Costa d’Avorio, rispose alle manifestazioni popolari antifrancesi abbattendo la flotta aerea militare del paese. Fatto ancora più grave, sparò sulla folla facendone strage. Meglio sarebbe che il resto del mondo agisse con maggiore prudenza, seguendo l’esempio
di Angola e Ghana, contrarie alle ingerenze, e soprattutto scartando l’eventualità di un intervento militare esterno contro Gbagbo avanzata dalla CEDEAO.
Una mediazione internazionale potrebbe piuttosto muoversi in favore di un governo di unità nazionale che consenta a tutti di partecipare al controllo dell’apparato statale e, tramite questo, di disporre a proprio vantaggio delle risorse nazionali: di solito è questo l’obiettivo ultimo di chi lotta per il potere in Africa. Non è una soluzione e rimanda soltanto il problema di come dotare gli stati africani di leader responsabili, onesti e capaci, ma, come dimostra la storia recente di altri paesi africani, mette fine alle stragi e apre una possibilità alla pace, purché poi qualcosa cambi.
La lezione ivoriana è assolutamente da tenere presente nella ricerca delle soluzioni delle crisi dei paesi che si affacciano nel mediterraneo. L'Europa sappia muoversi in modo unitario ma sopratutto senza egemonia della Francia che ha dimostrato essere  nostalgica del colonialismo perduto o forse ha paura che il suo PIL senza di apporti dei "dipartimenti d'oltremare" scivoli eccessivamente nella classifica degli stati UE.

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